Salvata per un ‘pelo’ in ambulanza

Sesso in ambulanza con la crocerossina

Giovanni ha finito il suo turno. E’ stanco morto ma qualcosa lo costringe a fermarsi di colpo,  lungo la tangenziale. Una ragazza fuori di testa agita le mani, sembra litigare con un fantasma o un demone. Che cazzo le ha preso?

“Sto per morire. Il cuore mi scoppierà…” urla lei, sempre parlando col suo demone.

Giovanni parcheggia ai bordi del guard rail, scende dall’ambulanza e si avvicina per tentare in qualche modo di calmarla, di soccorrerla, di esorcizzare la sua botta di follia.

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Lei, castana dalle tette generose e bona da morire, vorrebbe farla finita. Anziché godersi la vita e farla godere agli altri si dispera, urla, piange.

La pazza si accorge del ragazzone pelato (Giovanni) e, con gli occhi assenti e bagnati di lacrime, si aggrappa a quell’angelo in camice bianco e gli racconta la sua storia, le sue pene.

Il suo ragazzo è un traditore senza scrupoli e, in due anni, gliene ha fatte passare di cotte e di crude. Piange, si dispera e, alla fine, Marina, con una strana luce negli occhi, si calma, gli lancia una smorfia fredda e ribelle e s’intrufola nell’ambulanza.

Le succede un fatto strano: l’agitazione cardiaca si sposta sotto, tra le cosce.

“Misurami la pressione. Vediamo quanto sale, quando una donna ha voglia di vendicarsi…” propone lei con un tono di finto comando.

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E’ troppo alta, la sua pressione. Meglio che si dà una calmata… La delusione la  rende cattiva, assetata di vendetta e tanto, tanto arrapata. Sta salendo ancora, la pressione… insieme alla libidine.

“Senti come batte il cuore…” gli dice lei prendendogli la mano e poggiandola sulla sua tetta sinistra, piena e vellutata.

Il capezzolo è drizzato al massimo. Batte forte qualcosa anche a Giovanni: palpando a più riprese quella tettona disperata e calda, sente una bottarella al cazzo di quelle serie.

“Senti qualcosa, adesso?”.

“Sento una gran voglia di sfondarti”.

Marina, recuperando un po’ della sua lucidità, lo immaginava proprio così, l’uccello del suo salvatore. Lucido, teso e bello grosso. Lo percorre con la lingua per ogni centimetro di pelle nerboruta. Lo ingoia fino alla radice, lo gusta senza fretta. Il tubo unto di saliva che avviluppa il palo di Giovanni è vivo, pulsante, ansioso. Lo fa sudare, prima di lasciare che la sua sorca bollente lo ingoi tutto.

Non scopava da parecchio, povera Marina. E povero Giovanni, alle prese con una fica in astinenza di quelle che risucchiano il cazzo come le sabbie mobili.

Girata di fianco, a spondina, lo incassa tutto e piange. Accovacciata sopra di lui lo galoppa come una cavalla in delirio e piange. Piange sopra e sotto colando come una fontana.

Troppo veloce, troppo assatanata: così rischia di farla finire in fretta, quella svelta. E dire che Giovanni stava per staccare dal lavoro. Lo aspettava una serata in casa, fatta di noia.

Una vera tortura, per le sue palle esagitate, percorrere il tubo liscio e frenare l’orgasmo. Frenare più volte la sborrata è un’impresa, con una cavalcata isterica come quella, ma Giovanni deve resistere. Una femmina assatanata e decisa come Marina non capita tutti i giorni.

“Dai che sto venendo, daiiiii…” lo prega lei, mentre stringe e dilata la sorca in una convulsione dopo l’altra. Lo bagna della sua venuta feroce e non si concede pause. Lo cavalca più veloce di prima. Chiude gli occhi e apre al massimo le gambe sfogando la sua rabbia femmina.

“Siete tutti degli animali… Bestie affamate di carne e pelle…” gli urla addosso facendo pagare a lui tutte le infamie del ragazzo.

Già perché, lei cos’è? Vegetariana, forse? Con la fame di pesce fresco che si ritrova?! Vuole pure che si stappi dalla trappola tenera della sua fregnetta per assaggiarlo, di colpo, nel culo. No, sarebbe uno stimolo alla sborrata troppo forte. Magari, dopo… Per ora, il ‘salvatore’ preferisce incastrarlo tra cosce e gnocca, trombare così e farla durare più a lungo possibile. La insacca e cambia posizione di continuo, tanto per distrarsi da uno stimolo che lo condanna più volte a svuotarsi.

La faccia di quella cornutella da sfogare gli ricorda una sua zia e questo lo imbestialisce di foia ancora di più. Un colpo più secco apre di nuovo il rubinetto di Marina e del suo bisogno di orgasmi a catena.

“Sbotta, cagna! Piegati di più… Te lo faccio dimenticare io, quello stronzo…”.

Immobile e passiva, incassa una bastonata di quelle indimenticabili, che gli stressa un’ovaia.  “No… ahhh…!!!”.

Più dice ‘no’ e più lo prega mugolando d’impalarla strusciandole forte il cazzo avanti e dietro. Tocca a lei, adesso, trombarlo muovendosi sopra di lui, e lo fa improvvisando una strana contorsione. Ce ne vorrebbe una al giorno, di fica così da soccorrere…

Marina ripensa al tradimento subìto, alle illusioni. Si fa triste, apre le gambe e chiude gli occhi trasformandosi in una bambola di carne da sbattere in silenzio.

Dopo aver frenato più volte l’orgasmo, Giovanni supera il momento critico e si gode la spacca a sangue freddo. Può sbatterla quanto vuole, ora, e allividarle l’utero balordo senza rancore. Lei lo lascia sfogare nel ventre, non chiede niente in cambio tranne il cazzo e non sogna più. Il bell’infermiere l’ha curata, l’ha inculata e l’ha guarita. S.O.S. Fica chiama cazzo. Non c’è altro che questo.

Le precipita in corpo a tradimento e lei sta al gioco. Gli ultimi colpi prima di cacciarglielo in bocca per farle raccogliere tanto succo maschio.

Ingoiando l’ultima goccia di sperma Marina sogna di avere anche lei un’ambulanza, di fermarsi lungo la strada, di caricare tanti bei maschioni e di salvarli invitandoli ad annidarsi in mezzo alle sue cosce, nel suo nido fradicio.

Il mondo è pieno di gente da consolare e il sesso sa far dimenticare in fretta i guai meglio di una bottiglia di Chianti.

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